Punire o non punire il bambino?

Punire o non punire il bambino?

Per rispondere alla domanda se è giusto punire il nostro bambino, è necessario prima capire cosa intendiamo oggi per educazione.
C’è infatti stato un momento nella nostra storia, in cui la pedagogia aveva dimenticato che l’educazione non può limitarsi solamente all’istruzione delle facoltà intellettive dell’uomo. Per fortuna si è trattata di una fase transitoria, e oggi mostriamo una maggiore attenzione nel considerare l’uomo in tutta la sua interezza, quale essere che pensa, sente e vuole.

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Quando educhiamo, ci rivolgiamo al pensare quando incentiviamo la formazione del giudizio, al sentire quando configuriamo in modo artistico un qualsiasi insegnamento, e al volere tramite l’educazione morale.

Quando dunque noi ci poniamo il quesito se sia giusto punire, ci rivolgiamo a quest’ultima sfera, quella della volontà. Questo ci carica di una grande responsabilità, poiché stiamo intervenendo nello sviluppo del bambino, nella libertà dell’uomo in divenire. Così, da un lato dobbiamo fare attenzione a non mettere a repentaglio l’individualità del bambino, e dall’altra dobbiamo fare tutto quel che possiamo per eliminare i potenziali influssi negativi.

Come possiamo muoverci in questa linea così complessa?

Se lasciassimo che il bambino si sviluppasse da solo, le imperfezioni che egli porta con sé, e che nell’infanzia si possono ancora correggere, diventerebbero permanenti, e per tutta la sua vita sarebbe ostacolato nel vero e libero sviluppo del proprio essere. Ciò che egli può imparare in questa vita sarebbe sostanzialmente ridotto, perché egli si ritroverebbe nelle stesse condizioni in cui lo ha posto il suo passato ereditario e personale. 

Noi, come genitori, possiamo dare un supporto affinché l’apprendimento possa procedere in modo più veloce e chiaro, e il bambino riesca a sviluppare il vero sé. Ma per capire se è giusto punire, dobbiamo approfondire un ulteriore aspetto: il dolore.

Il dolore quale conseguenza delle proprie azioni

Tra i fenomeni culturali del nostro tempo vi è anche la tendenza a voler evitare il dolore a tutti i costi. Tendenza che viene confermata statisticamente dall’aumento del consumo di farmaci per eliminare il dolore fisico e interiore. La malattia ha dunque perso per noi qualsiasi significato: essa è semplicemente una disfunzione da eliminare ad ogni costo. Tuttavia, il dolore ha una sua importanza.

Pensiamo ad esempio al bambino piccolo che tocca il forno acceso. In tal caso il dolore fisico ha una funzione educativa. Allo stesso modo, quando ci fa male una parte del corpo siamo obbligati a prendercene cura, e forse ci rendiamo conto che avremmo dovuto prestarle più attenzione. E magari giungeremo alla conclusione che dovremmo prestare maggiore attenzione a tutti gli organi del nostro corpo, in modo che continuino a funzionare bene. Il dolore assume anche per noi una funzione educativa: ci desta, ci scuote. Questo è ancor più vero per la sofferenza interiore.
Se con le nostre azioni creiamo un danno a un’altra persona, rimpiangeremo di essere stati disattenti, o di non aver riflettuto adeguatamente sulle conseguenze delle nostre azioni. Il dolore penetrerà negli strati più profondi della nostra coscienza, e in questa profondità getterà luce su qualcosa che avremmo nascosto volentieri.

Quando prendiamo coscienza di tutto ciò, inizieremo a percepire il dolore e la sofferenza come conseguenze inevitabili ma giuste, come una punizione che l’uomo deve necessariamente incontrare per ritrovare l’armonia perduta.

Affinché ciò che per effetto delle cattive azioni è uscito dall’armonia morale, dall’equilibrio venga giustamente rimesso in ordine. 
– Rudolf Steiner

È tempo di riconoscere nuovamente un senso al dolore, come evento in grado di favorire il progresso dell’individuo umano.

Il bambino vive naturalmente le conseguenze delle proprie azioni

Consideriamo le esperienze del bambino che non hanno a che fare con l’educazione. Anch’egli, proprio come l’adulto, sperimenta le conseguenze delle proprie azioni, anche se gli adulti cercano di mitigargliele. Che il forno possa bruciare quando lo si tocca senza che prima desse a vedere alcunché di cattivo, o che il coltello tagli, sono esperienze che vengono fatte nel dolore e nelle lacrime. Certamente l’adulto cercherà di fare tutto quello che è nelle proprie forze per risparmiare al bambino esperienze di questo genere, ma certo non possiamo togliere al bambino la possibilità di fare esperienze. A volte è bene saper restare in disparte, senza intervenire, lasciando che i contraccolpi delle azioni si manifestino in modo doloroso ma istruttivo. 
Bisogna però fare attenzione che queste esperienze non arrivino troppo presto, ma vengano fatte solo quando il bambino è in grado di elaborarle correttamente. Infatti tutto dipende dalla giusta elaborazione delle esperienze.

Le punizioni quali conseguenze delle proprie azioni

Il nostro compito diventa più difficile quando le conseguenze della azioni non arrivano al bambino dal mondo esterno, ma quando è l’adulto stesso a dovergliele portare incontro, ovvero quando in qualche modo deve essere egli stesso la reazione del mondo. 
Nel caso di un forno che scotta, le conseguenze insorgono in modo tale che non ci possa essere alcun dubbio sulla loro necessità naturale, sulla loro oggettività e giustezza. Anche il bambino non può aggrapparsi a lungo all’idea che il forno sia “cattivo”: il forno non poteva fare diversamente, si è comportato in modo equo.
Ma quando l’uomo deve reagire, quando deve “punire”, le cose si presentano molto meno semplici e chiare. Egli deve agire oggettivamente, giustamente, in modo equo, pur mantenendo una stretta correlazione con il bambino. 

Per capire come sia giusto agire, proviamo prima a individuare come non dovrebbe essere una punizione.

Come non deve essere una punizione

Rivolgiamo lo sguardo a noi genitori, al nostro stato d’animo quando puniamo.

1. Punire in collera

Poniamo che nostro figlio abbia rotto, con intenzione, un vaso di porcellana a cui tenevamo particolarmente, e per di più molto prezioso. Presi dalla collera ci infuriamo e ci esprimiamo con parole particolarmente forti. Quest’azione è un mero riflesso, che non ha nulla a che vedere con un’azione educativa, o punitiva, da parte dell’adulto.
Chi punisce non può mai essere preda della propria ira, né tantomeno della propria furia. Egli deve rimanere sempre assolutamente presente a se stesso. L’adulto deve sempre sapere se, in un dato caso, per quel preciso bambino, è bene lasciare libera la collera oppure no.
Di fronte a bambini sognanti o giocherelloni a volte adirarsi è la cosa giusta, altrimenti non sperimenteranno mai la serietà delle situazioni. Ci sono casi in cui sarà invece meglio far sbollire la collera prima di dar luogo a una qualsiasi reazione di castigo. In particolare con bambini irascibili è importante non rispondere loro con la collera, perché questo non fa altro che aumentare la loro irascibilità. In questi casi, il bambino viene bloccato ma non sviluppa alcuna comprensione, che può essere raggiunta solo tramite la calma e il dominio di sé dell’educatore. Il bambino infatti distingue con grande sicurezza se il genitore si è infuriato perché è stato colpito personalmente; in tal caso l’ira ha un effetto contrario a quello che dovrebbe avere. 

2. Indifferenza

Riprendiamo l’esempio del punto precedente. Prescindendo dalla problematica specifica del nostro tempo che porta sempre meno rispetto per le cose materiali, se lasciamo tranquillamente che il vaso vada in mille pezzi, tranquillizzando noi stessi e il bambino sul fatto che il vaso sia assicurato, portiamo alla luce una nostra debolezza interiore. È un chiaro segnale di incapacità di decidere, paura della responsabilità e timore di gestire le situazioni conflittuali. Questo atteggiamento va bene per i bambini molto sensibili, che già di per sé soffrono per il danno arrecato, ma aiuta ben poco gli altri. I bambini meno sensibili se incontrano questo comportamento diventano poco a poco indifferenti nei confronti del valore delle cose. Alla fine arrivano ad avere comportamenti distruttivi solo per provocare una reazione e destare l’attenzione verso di loro. 

3. Motivi personali

La punizione non ha nulla a che vedere con l’arbitrio dell’adulto, ma deve scaturire solo e unicamente da condizioni oggettive, del tutto indipendenti dalle emozioni personali.
Immaginiamo che un bambino abbia chiesto di potersi recare nel pomeriggio al compleanno di un amico. Noi siamo stanchi e abbiamo da lavorare, ma d’altra parte non vorremmo dirgli di no. Ci troviamo quindi di fronte a una difficile scelta. Poi avviene che il bambino faccia qualcosa di “sbagliato”, e a quel punto esclamiamo: “Adesso, visto quello che hai combinato, non hai più il permesso di andare!”. Stiamo risolvendo il nostro dubbio scegliendo l’opzione che fa più comodo a noi stessi, invece di rispondere in modo adeguato al comportamento erroneo. Il bambino però sente perfettamente l’elemento arbitrario che si è inserito. Può allora diventare facilmente arrogante, soprattutto se l’adulto aggiunge presuntuosamente che egli si merita la punizione. 

4. Punizioni troppo dure

  • È ovvio che la punizione non deve mai rappresentare una sorta di vendetta, anche se questo succede spesso. Da questo atteggiamento verso la punizione non può venire nulla di buono. 
  • Allo stesso modo, anche la punizione che mette il bambino a nudo davanti agli altri è sostanzialmente troppo dura e va evitata. Dobbiamo fare attenzione che il bambino non sia posto senza necessità in cattiva luce di fronte ad altri bambini o agli adulti. Se si rendesse necessario mettere in evidenza un errore di fronte al gruppo, allora bisognerebbe farlo sottilmente, con benevolenza, e magari in modo indiretto, lasciando una traccia di dubbio a chi ci si riferisce veramente. L’umiliazione va sempre evitata. 
  • Troppo dura è anche quella punizione che viene solo minacciata, poiché il bambino viene posto in costante paura. Si comporterà bene per paura, e questo alimenterà comportamenti ingegnosi per fare in modo di non essere scoperti. Si diffonde un’atmosfera di non verità e disonestà. Il bambino penserà ben presto di avere il diritto di ingannare chi lo minaccia. 

5. Punizioni troppo morbide

Grandi danni si fanno anche quando per comodità, incoerenza o debolezza, la punizione è troppo mite o non c’è affatto. Se i bambini capiscono che la minaccia viene ripetuta molte volte ma poi non viene messa in pratica, non prenderanno più sul serio la parola dell’adulto e nemmeno l’adulto stesso. Finiscono allora col fare quello che vogliono, si ritirano da tutti i doveri e comandano l’adulto a bacchetta. Infatti nel loro intimo i bambini sanno molto bene di avere un diritto alla punizione. Questo sentire viene disatteso quando la punizione non c’è, o è ridicolmente leggera. Il bambino sente con chiarezza che l’adulto sta agendo in tal modo solo per risparmiarsi le noie. Avrebbe forse fatto meglio a passare del tutto sopra la mancanza, piuttosto che rendersi ridicolo con una punizione eccessivamente debole. 

6. Punizioni impersonali

Quando la punizione viene impartita in modo schematico, applicando una sorta di tariffario in cui si può addirittura prevedere in anticipo la misura della sanzione.
Si potrebbe pensare che un simile sistema garantisca una giustizia imparziale, poiché ogni bambino viene trattato nello stesso modo. Tuttavia, cadremmo in errore. Lo stesso e identico comportamento scorretto può avere in due bambini un senso completamente diverso, anzi possiamo affermare con sicurezza che, per quanti bambini possiamo considerare, non avrà mai lo stesso senso. Come non ci sono due bambini uguali, così le loro azioni non sono mai uguali. Essi hanno temperamenti, caratteri e destini diversi. Per questo ogni schematismo che nega l’individualità del bambino, in un certo senso la spegne. La punizione dovrebbe essere proprio il contrario. Essa deve richiamare l’individualità, e ridestare.

In che modo dovremmo punire?

La punizione deve rivolgersi alla coscienza individuale del bambino, stimolandola e illuminandola. Questo avviene per esempio se un bambino ha fatto un danno in giardino e viene incaricato di lavorare intensamente per un certo numero di giorni, innaffiando le aiuole di sera, ovvero facendo qualcosa di buono e utile per il giardino. 

In questo modo le conseguenze della cattiva azione possono variare all’infinito, a seconda del bambino e della situazione, e quanto più esse hanno un carattere immaginativo e si adattano creativamente al fatto, tanto meglio vengono accolte anche nella coscienza del bambino. La riparazione sarà sempre la cosa più appropriata, e l’educatore che punisce dovrà sforzarsi di trovare di volta in volta, in modo creativo, una forma in cui ci sia anche una corrispondenza esteriore tra atto e conseguenza.

Un elemento fondamentale della punizione salutare è quello di destare un senso di dolore. Si può trattare di imporre al bambino uno sforzo fisico, se per esempio il bambino ha dimenticato una parte di ciò che doveva comprare e ora deve rifare di nuovo tutta la strada. Oppure si può trattare di una privazione fisica: un bambino che è arrivato tardi a pranzo, può venire invitato ad alzarsi prima da tavola così da non ricevere il dolce. Tuttavia, la punizione si avvicina tanto più al suo vero e superiore compito quanto più rinuncia a procurare dolore fisico e riesce ad essere efficace tramite le forme più delicate.

Rudolf Steiner racconta di una punizione escogitata da Walter Johannes Stein, un insegnante delle classi superiori della prima Scuola Waldorf. Un giorno aveva notato che i suoi studenti avevano ricominciato a scriversi bigliettini durante la lezione. Stein non disse nulla di esplicito, ma con una rapida deviazione dall’argomento della lezione, cominciò a parlare dello sviluppo del sistema postale; i ragazzi restarono sorpresi, si vergognarono, e la circolazione di letterine si fermò senza che fosse spesa una sola parola a riguardo.
Effetti simili si ottengono spesso quando, dopo una comportamento che normalmente susciterebbe la sua irritazione, l’adulto non mostra alcuna reazione, oppure passa sopra la cosa liquidandola semplicemente con una risata di cuore (atteggiamento questo, che si rivela spesso essere il più efficace).

Si dovrebbero picchiare i bambini?

Le percosse non sono mai un buon mezzo educativo. Potremmo farci ingannare dal fatto che dopo la percossa il bambino interrompa immediatamente il suo comportamento scorretto, ma di regola questo significa solo che il bambino ha capito di aver sbagliato, ma non vi è alcuna azione pedagogica efficace. Al contrario, con le percosse si erge un muro tra sé e il bambino, provocando diverse forme di incomunicabilità. Inoltre, tutte le punizioni corporali agiscono in modo dannoso, ferendo l’amor proprio e l’autostima. Il bambino viene umiliato nella propria dignità di essere umano, e questo elemento negativo continua ad agire a lungo, a volte per decenni, come una lieve ferita dolorosa che non riesce a guarire. 

A seguito di una percossa dobbiamo subito chiederci il perché siamo caduti in questo errore. Ci dovrebbe assalire una vergogna bruciante. Dovremmo ammettere che, nel momento in cui abbiamo ricorso al più misero e primitivo dei mezzi educativi, il nostro agire pedagogico ha fallito, e dovremmo ammettere che in quel momento in noi hanno preso il sopravvento l’ira, il risentimento, la comodità e la mancanza di fantasia e di amorevolezza. 

Rudolf Steiner, nel collegio degli insegnanti del 25 settembre 1919, affermava:
La cosa migliore sarebbe non avere bisogno di punire. […] La monelleria non migliora con la punizione; può migliorare solo quando si porta un po’ alla volta un’atmosfera diversa in classe. Se l’atmosfera in classe migliora, anche i monelli migliorano. […] Penso che ogni punizione vera e propria sia inutile, anzi persino dannosa.”

Buona vita, Noe

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